"Cucinare è come amare... o ci si abbandona completamente o si rinuncia."
(Harriet Van Horne)


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giovedì 14 marzo 2013

La colomba di Pasqua



Io amo le sfide con me stessa. Anche quelle che sai già in partenza di avere poche possibilità di vincere. Così se non va male non sarai assalito dai sensi di colpa e tenderai a giustificare il fallimento con scuse tipo "Era troppo difficile, però ho voluto provarci". Se invece per qualche miracolo tutto va alla perfezione la soddisfazione è altissima e l'autostima, che ve lo dico a fare.


Così, sparisco per secoli dal blog e ritorno con una robina da niente, eh.

Insomma, una che non ha neanche il tempo di respirare, nel giorno di riposo cosa può fare? Riposarsi? Uscire? No... piuttosto, dedicare circa dieci ore alla preparazione casalinga della colomba pasquale. Ovvio, no?

E sono stata così splendida da fare le cose per bene come una foodblogger che si rispetti, vale a dire, con il giusto anticipo in modo da poter postare qualche giorno prima di Pasqua e non due mesi dopo...

C'è da dire che io ho sempre nutrito un timore assurdo verso tutte le preparazioni lievitate. Però per superare le paure bisogna affrontarle, prendendole proprio di petto. E alla fine, passata la paura, mi sono pure emozionata nel vedere crescere l'impasto.




Ma vediamo un po' prima della sfida come era la situazione.


Punti a mio favore:

- entusiasmo;
- una mix di due ricette scelte accuratamente e di autori decisamente affidabili;
- il mio super forno nuovo;

Punti a mio sfavore:

- inesperienza: mai fatto un lievitato (e questo punto già da solo vale doppio, anzi triplo);
- mancanza di una planetaria/impastatrice, quindi si lavora tutto a mano (e anche questo vale doppio);
- elementi di disturbo (mia madre che ha tentato di boicottare l'impresa, prima dicendomi che non valeva la pena perdere tutto questo tempo, poi dandomi consigli operativi non in linea con la ricetta).
- dovermi alzare presto anche la domenica per avere tempo a sufficienza.

Ecco sono partita in netto svantaggio, ma poi ho messo in atto una remuntada pazzesca!




Quindi lo ammetto, sono soddisfatta del risultato e mi sento proprio figa, lasciatemelo dire (cioè lasciatemi nel mio brodo che la felicità è fatta di piccole cose, anche di esagerati autocompiacimenti).


La ricetta non è difficile, a parte ovviamente il dover impastare tutto a mano. E' impegnativa per il numero di passaggi da seguire e perchè si sta in ballo una decina di ore tra impasti e tempi di lievitazione. Otterrete un dolce profumato e soffice, non secco e cartonato come alcune colombe industriali. Quindi è una ricetta che funziona! Non vi resta che provarla!
Però non è andato tutto liscio. Gli errori ci sono stati e sono imputabili solo a me.

Ve li racconterò man mano nella ricetta.




(Ricetta dell'impasto presa da Misya nel cui sito troverete anche le foto di ogni passaggio, cosa che io mi rifiuto categoricamente di fare e che anche volendo è impossibile senza un assistente e senza una planetaria visto che le mani sono sempre "in pasta",
Ricetta della glassa presa da GZ)



Ingredienti per uno stampo da 1 Kg:

Per l'impasto:
500 gr di farina (Misya non ha indicato che tipo di farina, io ho usato la Manitoba)
100 ml di acqua
25 gr di lievito di birra
200 gr di burro
170 gr di zucchero (Andrebbe aumentata la quantità perchè la colomba non risulta tanto dolce)
5 tuorli
30 ml di latte
1 cucchiaio di essenza di vaniglia
buccia grattugiata di 1 limone
buccia grattugiata di un’arancia
1 pizzico di sale
50 gr di canditi(opzionale, io non li ho messi)

Per la glassa:
50 gr granella di zucchero
2 albumi
50 gr di mandorle non spellate
80 gr di farina di mandorle
80 gr di zucchero a velo vanigliato



Primo impasto
Fare la biga facendo disciogliere il lievito in 100 ml di acqua tiepida.
Aggiungere 140/150 gr di farina e iniziare a mescolare.

Lavorare l’impasto fino ad ottenere un panetto morbido. (E' stata un'impresa lavorare l'impasto, era sempre appiccicosissimo, al punto che mi aveva ricordato questa disavventura qui e stavo per demordere al primo step).
Fare una croce sul panetto e metterlo in un contenitore in cui avrete messo dell’acqua tiepida. (La croce non mi è proprio riuscita, era troppo molle e appiccicoso).
Chiudere la ciotola e lasciar lievitare per 30 minuti. Il panetto dopo la lievitazione sarà raddoppiato di volume e salirà a galla. (Utilizzate un contenitore grande, perchè l'impasto cresce molto. Altrimenti vi troverete come me con l'impasto appiccicato al coperchio della ciotola).

Secondo impasto
In un’ampia ciotola versare la restante farina (350 gr di farina), lo zucchero, i tuorli, 100 gr di burro ammorbidito, un pizzico di sale, un cucchiaio di essenza di vaniglia e la buccia grattugiata del limone e dell’arancia.
Iniziate a lavorare l’impasto aggiungendo tanto latte fino ad ottenere un impasto lavorabile (a me ne son bastati 30 ml).
Prendere la biga, sgocciolatela dall’acqua e aggiungerla all’impasto.
Trasferire l’impasto su una spianatoia e lavorare fino ad ottenere un panetto morbido, omogeneo e un pò appiccicoso quindi mettere in una ciotola in forno spento a lievitare per 1 ora. (Io ho dovuto aggiungere farina per poterlo lavorare con le mani).

Terzo impasto
Riprendere l’impasto ed aggiungere 50 gr di burro ammorbidito.
Lavorare energeticamente per almeno 10 minuti quindi rimettete il panetto nella ciotola in forno spento a lievitare per 4 ore.
Dopo la lievitazione l’impasto sarà raddoppiato di volume.

Quarto impasto
Riprendere l’impasto ed aggiungere gli ultimi 50 gr di burro ammorbidito e se volete i canditi. (O altro, tipo uvette, gocce di cioccolato, gocce di frutta essiccata).
Lavorare l’impasto per 15 minuti, poi adagiatelo nello stampo per colomba. (A questo punto sentirete proprio la consistenza cambiare, nel senso che sarà sicuramente più unta per via del burro, ma una volta assorbito sarà finalmente lavorabile e non più appiccicoso).
Mettere la colomba in forno spento e fate lievitare per 2/3 ore o fino a che il dolce non arriva quasi ad altezza del bordo dello stampo.

Ora preparare la glassa sbattendo gli albumi e aggiungendo poco per volta lo zucchero a velo e la farina di mandorle. La glassa risulterà densa.
Se non trovate la farina di mandorle potete farla in casa il giorno prima. Dovrete spellare le mandorle dopo averle tuffate per un paio di minuti in acqua bollente. Dopo di che, le passerete qualche minuto al forno per farle asciugare e infine le frullate con un cucchiaino di zucchero ogni 100 grammi.
Non fate come me che avevo dimenticato di farlo il giorno prima e l'ho fatto al momento col risultato che le mandorle ancora umide hanno rilasciato olio e non sono diventate farina, ma sono rimaste tritate. Infatti la mia glassa seppur buona, non ha formato la tipica crosticina.


Togliete la colomba dal forno e poggiatela su un piano ricoperta da un canovaccio quindi accendete il forno e preriscaldatelo a 190°. Distribuite la glassa sul dolce e completate con le mandorle non spellate e la granella di zucchero.

Cuocete la colomba nel forno già caldo per 10 minuti a 190° poi impostate la temperatura del forno a 180 e proseguite la cottura per altri 30 minuti (non dovrei dirlo perchè è una regola base, ma si può sempre sbagliare. Non aprite il forno, possibilmente fino alla fine della cottura, altrimenti come successo a me, la vostra colomba crollerà più o meno rovinosamente al centro. E' colpa di mia madre che mi continuava a dire che si stava bruciando e che l'avevo messa all'altezza sbagliata nel forno...)

Estraete la colomba dal forno e fatela raffreddare su una gratella e mangiatene in quantità!
Se dovesse avanzare, conservatela in un sacchetto di plastica. Si manterrà fragrante per diversi giorni.









La mia reflex si dissocia da me e dalle mie foto oscene.





lunedì 13 aprile 2009

Pastiera



Finalmente mi sono schiodata!! Forse la parola è un po’ troppo da “pischella” (ragazzina) milanese, ma rende bene l’idea… Voglio dire che finalmente la bellissima e caldissima giornata di oggi mi ha fatto venir voglia di fare una bella camminata all’aria aperta, staccandomi per qualche ora dalla sedia davanti al pc alla quale sono stata fedelmente attaccata per tutto il freddo inverno…
Ho fatto una bella passeggiata di salute nell’affollato Parco delle Cave che si trova a pochi passi da casa mia… in mezze maniche e, avrei potuto tranquillamente mettere anche pantaloni corti e infradito visto il caldo…
Anche il mio piccolino Joy ha goduto dell’aria aperta e credo non abbia mai camminato e corso tanto, visto che ad un certo punto era così sfinito che si è sdraiato rifiutandosi di alzarsi e ho dovuto prenderlo in braccio per proseguire…




Fino alla metà della settimana scorsa ero convintissima che avrei passato Pasqua e Pasquetta dormendo tutto il tempo per recuperare il sonno arretrato, spinta dall’apatia che da qualche anno ho verso le feste comandate e anche dal fatto che gli accadimenti tragici dell’Abruzzo hanno tolto la voglia di festeggiare un po’ a tutti.



Poi però mia madre, in uno slancio di inspiegabile entusiasmo, ha invitato alcuni parenti e amici a casa nostra (escludendo la classica grigliata fuori porta di Pasquetta un po’ perché non ci fidavamo del tempo, ma soprattutto per pigrizia!) e mi ha affidato il compito di preparare i dolci.
E così a grande richiesta ho rifatto la torta rustica di mele e, volendo sperimentare un classico della tradizione pasquale campana ho deciso di cimentarmi nella Pastiera.
Ma anche per rispondere ad un affronto che mia madre mi aveva fatto la settimana scorsa: ha portato a dei parenti a casa dei quali siamo andate in visita, una simil pastiera comprata al reparto pasticceria del supermercato… una cosa oscena, senza alcuna traccia di orzo e con persino la frolla che non sapeva di frolla…
Ma come, con un’aspirante pasticcera in casa non era neanche da pensare!!
Pensavo che la difficoltà maggiore fosse proprio insita nella preparazione stessa… invece no! La difficoltà è stata reperire l’indispensabile acqua ai fiori d’arancio… ma come, in una città come Milano? Ebbene si, perché io ho deciso all’ultimo e probabilmente tutta Milano aveva messo la Pastiera nel menu di Pasqua e quindi le fialette erano esaurite ovunque…
Solo all’ultimo tentativo, quando pensavo non ci fosse più speranza, eccole li le boccette… uno scaffale che non c’entrava niente… forse volevano depistarmi?




Come al solito mi sono affidata al mitico, insuperabile e infallibile (non smetterò mai di dirlo!) Giallo Zafferano (ma a proposito, qualcuno mi dovrà spiegare come funziona… cioè chi c’è dietro, come vengono raccolte le ricette… forse dovrei chiedere ad Erborina, le cui ricette compaiono spesso) ed ho fatto benissimo perché la torta è riuscita una favola!!
E detto da me che non ho mai amato particolarmente le torte con la ricotta è una garanzia!
Pure la frolla fatta con la ricetta base di GZ è, a mio gusto, perfetta e quindi la inserisco come mia ricetta base ufficiale anche qui nel mio blog!




E come sempre prima un po’ di storia e origini del dolce di oggi (tratte dal sito http://www.pastiera.it/):

STORIA DELLA PASTIERA
Si racconta che Maria Teresa D'Austria, consorte del re Ferdinando II° di Borbone, soprannominata dai soldati "la Regina che non sorride mai", cedendo alle insistenze del marito buontempone, famoso per la sua ghiottoneria, accondiscese ad assaggiare una fetta di Pastiera e non poté far a meno di sorridere, compiaciuta alla bonaria canzonatura del Re che sottolineava la sua evidente soddisfazione, nel gustare la specialità napoletana.
Pare che a questo punto il Re esclamasse: "Per far sorridere mia moglie ci voleva la Pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo".

ORIGINI DELLA PASTIERA
La pastiera, forse, sia pure in forma rudimentale, accompagnò le feste pagane celebranti il ritorno della primavera, durante le quali le sacerdotesse di Cerere portavano in processione l'uovo, simbolo di vita nascente. Per il grano o il farro, misto alla morbida crema di ricotta, potrebbe derivare dal pane di farro delle nozze romane, dette appunto " confarratio ".
Un'altra ipotesi la fa risalire alle focacce rituali che si diffusero all'epoca di Costantino il Grande, derivate dall'offerta di latte e miele, che i catecumeni ricevevano nella sacra notte di Pasqua al termine della cerimonia battesimale.
Nell'attuale versione, fu inventata probabilmente nella pace segreta di un monastero dimenticato napoletano. Un'ignota suora volle che in quel dolce, simbologia della Resurrezione, si unisse il profumo dei fiori dell'arancio del giardino conventuale. Alla bianca ricotta mescolò una manciata di grano, che, sepolto nella bruna terra, germoglia e risorge splendente come oro, aggiunse poi le uova, simbolo di nuova vita, l'acqua di mille fiori odorosa come la prima vera, il cedro e le aromatiche spezie venute dall'Asia. È certo che le suore dell'antichissimo convento di San Gregorio Armeno erano reputate maestre nella complessa manipolazione della pastiera, e nel periodo pasquale ne confezionavano in gran numero per le mense delle dimore patrizie e della ricca borghesia.
Ogni brava massaia napoletana si ritiene detentrice dell'autentica, o della migliore, ricetta della pastiera. Ci sono, diciamo, due scuole: la più antica insegna a mescolare alla ricotta semplici uova sbattute; la seconda, decisamente innovatrice, raccomanda di mescolarvi una densa crema pasticciera che la rende più leggera e morbida, innovazione dovuta al dolciere-lattaio Starace con bottega in un angolo della Piazza Municipio non più esistente.
La pastiera va confezionata con un certo anticipo, non oltre il Giovedì o il Venerdì Santo, per dare agio a tutti gli aromi di cui è intrisa di bene amalgamarsi in un unico e inconfondibile sapore. Appositi "ruoti" di ferro stagnato sono destinati a contenere la pastiera, che in essi viene venduta e anche servita, poiché è assai fragile e a sformarla si rischia di spappolarla irrimediabilmente.

LA LEGGENDA DELLA PASTIERA
Ancora più leggendaria e mitologica la storia della sirena Partenope che incantata dalla bellezza del golfo, disteso tra Posillipo ed il Vesuvio, avesse fissato lì la sua dimora. Ogni primavera la bella sirena emergeva dalle acque per salutare le genti felici che popolavano il golfo, allietandole con canti d'amore e di gioia. Una volta la sua voce fu così melodiosa e soave che tutti gli abitanti ne rimasero affascinati e rapiti: accorsero verso il mare commossi dalla dolcezza del canto e delle parole d'amore che la sirena aveva loro dedicato. Per ringraziarla di un così grande diletto, decisero di offrirle quanto di più prezioso avessero. Sette fra le più belle fanciulle dei villaggi furono incaricate di consegnare i doni alla bella Partenope: la farina, forza e ricchezza della campagna; la ricotta, omaggio di pastori e pecorelle; le uova, simbolo della vita che sempre si rinnova; il grano tenero, bollito nel latte, a prova dei due regni della natura; l'acqua di fiori d'arancio, perché anche i profumi della terra solevano rendere omaggio; le spezie, in rappresentanza dei popoli più lontani del mondo; infine lo zucchero, per esprimere l'ineffabile dolcezza profusa dal canto di Partenope in cielo, in terra, ed in tutto l'universo. La sirena, felice per tanti doni, si inabissò per fare ritorno alla sua dimora cristallina e depose le offerte preziose ai piedi degli dei. Questi, inebriati anche essi dal soavissimo canto, riunirono e mescolarono con arti divine tutti gli ingredienti, trasformandoli nella prima Pastiera che superava in dolcezza il canto della stessa sirena.



Ingredienti:

pasta frolla (vedi ricetta qui)
Acqua di fiori d’arancio (1 fiala o nel caso della boccetta grande due/tre cucchiaini)
50 gr di arance e cedro candito (ne andrebbero di più, ma io li odio e ho già fatto uno sforzo immane!)
30 gr burro
1 cucchiaino di cannella
250 gr di grano cotto
150 gr latte
La scorza grattuggiata di un limone
350 gr. ricotta di pecora (GZ consiglia un misto tra pecora e mucca, ma io ho usato solo quella di pecora)
2 uova intere
2 tuorli
1 bustina di vanillina
350 gr zucchero

Versare il grano cotto nel latte in una pentola insieme al burro. Scaldare continuando a rimescolare fino a quando non si sarà ottenuta una crema uniforme. Far raffreddare la crema ottenuta e aggiungere tutti gli altri ingredienti: la ricotta, lo zucchero, le uova, la bustina di vanillina, la fiala di fiori d’arancio, il cedro e l’arancia candita, la cannella e la scorza grattugiata del limone. Nel frattempo rivestire una teglia del diametro di 28 cm con la pasta frolla avendo cura di tenere una porzione di pasta da parte per le decorazioni.
Riempire la teglia con l’impasto liquido.
Con la pasta tenuta da parte, ricavare, da una sfoglia non troppo sottile, delle strisce di frolla della larghezza di 1,5-2 cm, con le quali decorare la superficie della pastiera disponendole a griglia.
Questa operazione potrebbe risultare più difficoltosa rispetto ad una normale crostata se il ripieno viene un po’ troppo liquido come successo a me (potrebbe essere a causa del latte Zymil che sono costretta ad usare per la mia intolleranza al lattosio e che è molto acquoso), quindi le strisce potrebbero sprofondare leggermente, alterando leggermente solo la parte estetica finale.
Portare il forno a 200° e infornate la pastiera; dopo un'ora circa (e come al solito al mio forno sono bastati 50 minuti), quando la superficie si sarà dorata, spegnere il forno, lasciare raffreddare la torta e farla asciugare nel forno stesso. Estrarre la pastiera dal forno e spolverizzarla con dello zucchero a velo prima di servirla.



Nota: conviene non essere troppo generosi con le fette perché è una torta mooooolto sostanziosa e, soprattutto alla fine del pranzo pasquale potrebbe essere eccessivamente pesante!
Nota 2: la Pastiera va preparata con qualche giorno di anticipo per permettere a tutti gli ingredienti di assimilarsi bene tra loro e poterla così gustare al meglio la domenica di Pasqua



lunedì 30 marzo 2009

Cuddura cull'ova



Incredibile, ma vero, due post in due giorni… cioè un post al giorno!!
Direi che è una situazione più unica che rara, considerando i miei ritmi!
Di solito sperimento, fotografo e scrivo di domenica, ma oggi fa eccezione e faccio doppietta solo perché ho approfittato della indisposizione che mi ha costretto a casa (eh si, anche agli imprenditori capita di stare male, e a pochi di noi succede di stare a casa dal lavoro… beata istituzione della malattia per i lavoratori dipendenti!).

Visto che la Pasqua si avvicina, gioco d’anticipo per evitare di finire come col Carnevale che è passato e io non ho fatto in tempo a preparare alcun dolce tipico…
Propongo un dolce siciliano tipico di questo periodo di festa, la “cuddura cull’ova”, che mi riporta alla mia infanzia e alle mie origini, una preparazione allegra e coloratissima credo non manchi in nessuna pasticceria siciliana in questo momento dell’anno.
A dire il vero questo dolce l’ho sentito nominare molto negli anni, ma a casa mia non si è mai fatto e allora spinta dalla mia voglia di sperimentare, in particolar modo quello che suggerisce la tradizione culinaria delle regioni da cui proviene la mia famiglia.
Sono molto entusiasta di questo dolce, oltre ad essere proprio buono è anche troppo carino!!


...a forma di "panarieddu" (cestino)... non troppo ben riuscito...
...a forma di cuore... decisamente più carino...

Ancora una volta (e non sarà sicuramente l’ultima) mi sono affidata a GialloZafferano per la ricetta, apportando solo alcune piccole modifiche.

E come sempre prima un po’ di storia (riportata testualmente da GZ):
“La coddura o cuddhura, è un tipico dolce siciliano, di derivazione ortodossa, che veniva e viene tutt’ora preparato nel periodo pasquale.
Tempo fa, durante il periodo della Quaresima, si osservava una grande moderazione alimentare, che escludeva dalle tavole carne, uova e formaggi, ma con l’arrivo della settimana santa le privazioni terminavano, e le uova erano un alimento particolarmente utilizzato per la preparazione dei dolci pasquali.
In Sicilia, il dolce pasquale più diffuso è ancora oggi la "cuddhura", un grosso dolce di forma circolare, con incorporato un numero variabile, ma sempre dispari, di uova col guscio, che le giovani donne usavano regalare ai fidanzati nel giorno della Resurrezione.
Ma la forma della cuddura non è solo circolare: se ne preparano anche a forma di "campanaru" (campanile) per risuonare le campane al Cristo risorto, a forma di "panarieddu" (cestino) per augurare abbondanza, oppure di "gadduzzu" (galletto o colomba) per i ragazzi, di "pupa" (bambola) per le ragazze, e a “cuore” per i propri amati.

Il termine "cuddhura" deriva dal greco "Coulloura" col quale gli antichi greci indicavano particolari focacce offerte agli dei in cambio di favori e benevolenza, usanza che in epoca cristiana si rivolge ai fidanzati e non più agli dei pagani.Le "coddhure" venivano portate in chiesa, la mattina del sabato santo, per la benedizione che, nella solennità della Resurrezione, risvegliava l'idea di fecondità consacrandone il valore.Costituivano comunque un dono augurale: un tempo la "zita" (la fidanzata) preparava la coddura a forma di cuore per il suo promesso, che ricambiava il dono con un dolce a forma di "agnidduzzu" (agnellino), e con questi gesti si celebrava la rinascita e la fertilità.“



...mezzo cuore glassato...



...mezzo cuore non glassato...

Ingredienti:

500 gr. farina (io ho usato la farina per dolci e ne ho aggiunto almeno altri 150/200 gr. ad occhio)
1 bustina lievito per dolci in polvere
la buccia grattuggiata di un limone
200 gr. strutto (io ho usato il burro)
6 uova
1 bustina di vanillina
200 gr. zucchero

Per decorare:
Codette e palline arcobaleno q.b
1 uovo per spennellare (io ho usato solo il tuorlo)

Per la glassa:
1-2 cucchiai succo di limone
1 albume (quello non utilizzato per spennellare)
10-12 cucchiai di zucchero


Mettere la farina in un recipente capace e mescolarla con lo zucchero e il lievito setacciato, quindi aggiungere lo strutto ammorbidito (o il burro), le uova, la buccia grattugiata di un limone la vanillila e impastare.
Lavorare molto bene l’impasto in modo da amalgamare bene gli ingredienti (anche con il robot da cucina); la consistenza dell'impasto non sarà dura, anzi, risulterà abbastanza morbida. A dire il vero senza la mia aggiunta di farina l’impasto sarebbe rimasto addirittura appiccicoso al punto da non poterlo staccare dalle mani!
Modellare la "cuddura" direttamente sulla carta forno, secondo i soggetti da scelti; un cuore, un cestino, una campana, una bambola, un galletto.
Posizionare sulla "cuddura", con una leggera pressione sulla pasta, una o più uova col guscio (sempre in numero dispari), che andranno bloccate sul dolce con dei bastoncini di pasta a mo’ di croce.Adagiare la cuddura sulla placca del forno (o in una teglia) foderata con carta forno, spennellarla con dell’uovo sbattuto (anche solo il tuorlo), e guarnirla con dei semi di papavero, sesamo o con degli zuccherini colorati, e cuocerla a 180°-200° per circa 35-40 minuti, fino a quando diventerà dorata. Ovviamente nel mio forno sono bastati 30 minuti…Se si vuole glassare la cuddura (o anche solo metà come ho fatto io), infornarla senza spennellerla con l'uovo sbattuto, e preparare una glassa in questo modo: montare a neve un bianco d’uovo, aggiungere poi 10-12 cucchiai di zucchero semolato, un cucchiaio alla volta e lentamente, continuando a sbattere con lo sbattitore.
Aggiungere poi poco alla volta uno o due cucchiai di succo di limone, sempre sbattendo; il composto deve risultare molto denso e staccarsi pesantemente dal cucchiaio.
Appena sfornata la cuddura, ricoprirla con la glassa preparata e cospargerla di zuccherini colorati, lasciarla raffreddare e poi buona degustazione!
Ovviamente anche le uova inserite si possono mangiare... saranno belle sode dopo il passaggio in forno!
Un consiglio: con queste dosi io ho preparato 2 grosse cuddure, ma considerando che l’impasto cresce parecchio forse converrebbe dividerlo e farne 4 o più cuddure più piccole con diverse forme.